giovedì 23 marzo 2017

Gli ultimi Balcani


[9 settimane e 5 giorni alla partenza] Dopo l'esperienza traumatica in Granbretagna e Irlanda lo scorso anno, quest'anno si ritorna nell'angolo di mondo che mi si avvicina maggiormente: Mediterraneo e Medio Oriente. 

In un periodo di depressione perché non sicuro di andare in Iran per via della situazione precaria che c'è in Turchia, ho dovuto anche escludere paesi come Georgia e Armenia per la stessa ragione. Il nord Africa è off-limit tranne che per il Marocco, ma qui non ci posso andare quest'anno per via dei pochi giorni che ho a disposizione. Ero preso dallo sconforto: 2016 viaggio orrendo e 2017 senza mete. Ma un giorno gelido di gennaio mi era venuta l'idea! Ancora tutto in fermento per il parto della mente, ho telefonato immediatamente all'avventuriero GC per proporgli il progetto. Senza esitazione, come una liberazione, ha accettato di tornare in quelle aree di mondo che pure a lui interessano.

Galvanizzato dalla possibilità di essere di nuovo in team per un bel viaggio, iniziai la meticolosa programmazione dell'itinerario.

  • comprare i libri necessari
     

  • raccogliere sui forum le informazioni necessarie
  • mettere tutto assieme
  • iniziare a costruire itinerari

  • valutare gli itinerari e modificare


Ad oggi abbiamo il nostro itinerario e la guida autocostruita... ora si dovrà pensare a prenotare i traghetti e poi ad allenarci un po', prepare la moto e partire..



6 commenti:

  1. La Vocazione

    Un pezzo di famiglia materna durante la seconda guerra mondiale è stato trasferito a Pirano/Portorose; e perciò fin da bambino sentivo i loro racconti dell’Istria, dei nomi dei paesi della zona e le loro storie di vita vissuta in quella terra. A metà degli anni 80, con i miei genitori andammo finalmente in Jugoslavia. Attraversammo la frontiera a Trieste e divenni conscio in quell’istante che stavo vivendo un’esperienza che nessuno degli amichetti dell’epoca aveva mai fatto. Mi sentivo come un esploratore ai confini del mondo che, avido, raccoglie ogni dettaglio per poterlo raccontare al rientro. L’impatto con la realtà jugoslava fu forte ma positivo; mi resi conto immediatamente che ero in un mondo lontano dal mio, un mondo diverso e da dover esplorare. Al rientro ci fu da pensare all’inizio della scuola e la mente non ripercorse più la vacanza jugoslava per un lungo periodo. Passarono circa 7 anni prima che il pensiero cadesse ancora sulla penisola balcanica.
    Agli inizi degli anni 90, ormai adolescente, l'esplosione della guerra balcanica fu come uno schiaffo. Mi resi conto che nominavano luoghi in cui ero stato; luoghi che da un lato mi evocavano gioia e felicità, ma dall’altro si scontravano con la realtà le immagini trasmesse alla TV. Una guerra in Europa, in quella periferia del continente sconosciuta, lontana dai centri economici e di potere, diversa culturalmente ma geograficamente solo dietro all’angolo. Una periferia del nostro continente come lo è il Mezzogiorno d’Italia, la Grecia, il Portogallo e l’Andalusia. Ma in quella periferia è scoppiata una guerra civile che ha ricordato i genocidi della II guerra mondiale. Mi ricordo che è stato da quel fatto che ho iniziato a seguire i telegiornali cercando di capire quello che stava succedendo; ma purtroppo erano cose troppo grandi e lontane per un adolescente fortunatamente nato nel nordest.
    Alla fine degli anni 90 non avevo consapevolezza del perché avessi una sorta di attrazione per il mondo balcanico; ma come una goccia scava la roccia, così la vocazione ad andare in moto nei paesi balcanici si è fatta strada dentro di me fino a portarmi a visitare la regione.
    Per alcuni anni attraverso diversi itinerari, durante le vacanze estive con la moto ho visitato la maggior parte della penisola balcanica: Romania, Bulgaria, Grecia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia e Montenegro. Per diverse ragioni la Macedonia, Kosovo e l’Albania sono rimaste fuori dagli itinerari e da qui prende origine il progetto per il 2017: gli ultimi Balcani.

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  2. L'Albania Parte 1
    Per quelli della mia generazione e quella dei miei genitori l'Albania era un punto nero sulla carta geografica: Nessuno sapeva nulla, nessuno era mai entrato e nessuno era mai uscito. Questa cosa da ragazzino da un lato mi affascinava - una terra inesplorata qui vicino a me? - ma dall'altro mi dava di cui pensare. Mia madre cercava di spiegarmi che la colpa non era degli albanesi ma di Enver Hoxa. Non è che mi fosse molto chiaro all'epoca ma accettai che ci potesse essere uno che decidesse per altri fino al quel punto.

    In ogni modo la più grande rivoluzione del '900 (il concetto di turismo) aveva sdoganato il mondo, reso accessibile in qualche maniera ogni angolo del pianeta; ma quella terra dietro l'angolo no. Anche la Russia e Cina comuniste avevano "pirtusi" a cui fare appello e riuscire ad andare! Ma l'Albania, no. Questo creò nei viaggiatori - e a cascata negli aspiranti piccoli viaggiatori - una sorta di Far East mentale (come lo chiama Gigi Riva) e non geografico. La cosa curiosa è che la citazione: "Per noi balcanici l'Albania è sempre stata un buco nero, un posto o un mito: tutti sapevamo dov'era, ma nessuno voleva andarci. Si raccontavano cose assurde sull'Albania. Non ci sono mai andata. L'ho sfiorata molte volte, ma non sono mai riuscita a compiere il grande passo. Ho viaggiato lungo tutto il confine, ma andare oltre... c'era sempre la sensazione di qualcosa di sconosciuto e pauroso" (Diana Bosnjak Monai).

    Però ogni cosa compressa al punto giusto esplode. E negli anni '90 sappiamo tutti quello che è successo.

    Da orientalista ho un debole per l'impero ottomano e il mio interesse per la penisola balcanica è la sua estrema vicinanza culturale. Durante l'impero era chiamata la Turchia l'Europa. Una delle caratteristiche peculiari dell’Albania è che è l’unico paese balcanico ed europeo dove la maggioranza della popolazione ha abbracciato la fede coranica durante la dominazione ottomana. Nonostante la religione, gli usi e costumi degli albanesi rispecchino completamente quelli anatolici, gli storici albanesi sono tutt’oggi i più attivi nell’affermare la purezza della razza schipetara, riconducendola alle antiche popolazioni illiriche e negando dogmaticamente qualunque apporto esterno. Uno tra i fatti più significativi è che nomadi e tartari furono dislocati in regioni remote e difficili da conquistare e soprattutto in Albania, dove la loro presenza rafforzava l’autorità ottomana. Come già i selgiuchidi prima di loro, anche gli ottomani compresero che occorreva inviare i nomadi alla periferia dell’impero, dove potevano risultare utili senza arrecare danno al cuore dei territori del sultano: era meglio che andassero a saccheggiare qualcun altro. Il consolidamento dello stato ottomano fece sì che buona parte dei turchi nomadi diventassero sedentari, trasformandosi in agricoltori, mentre quanti rimasero guerrieri entrarono a far parte del sistema amministrativo del timar, vivendo mantenuti dalle tasse e dagli abitanti dei villaggi e rimanendo disponibili per la guerra quando ve ne fosse bisogno. I conquistatori ottomani procedettero inoltre allo stanziamento di comuni contadini e pastori turcomanni come coloni nei territori balcanici di maggior rilievo strategico. I sultani conseguivano così il doppio risultato di infrangere l’unità delle popolazioni cristiane, agevolando la diffusione dell’islam mediante la presenza fisica di elementi già musulmani.

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  3. L'Albania Parte 2
    In ogni caso la politica degli ottomani ha contribuito a creare un paese nuovo, un’identità culturale nuova che si è staccata dall’Europa per formarne una completamente nuova. Infatti i dati del censimento albanese del 1930 riservano risultati sorprendenti: nonostante il virulento nazionalismo schipetaro sviluppatosi alla fine del XIX secolo fosse riuscito ad “albanesizzare” decine di migliaia di greci e valacchi, ben 20.000 cittadini si dichiararono orgogliosamente “turchi”. Era il canto del cigno degli ultimi ottomani coscienti di esserlo, poiché il comunismo avrebbe “convinto” chiunque vivesse sul suolo della Repubblica Popolare d’Albania a sentirsi puramente albanese.

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  4. Kosovo - l’impalpabile definizione.
    La storia antica è comune a tutti gli altri stati della regione, ma di diverso c’è la dominazione di Stefan Namanja che nel 1180 consolidò uno stato tra Serbia, Kosovo e Montenegro. La sua dinastia si distinse per il periodo di floridità e la costruzione dei principali siti UNESCO del paese come il Monastero di Decani e quello di Gracanica.
    Ma è il Kosovo ottomano che mi interessa - come d’altra parte tutta la dominazione ottomana nei balcani -. Nel 2013 Erdogan in visita a Prizren dichiara: «la Turchia è Kosovo, il Kosovo è Turchia» («Türkiye Kosova’dır, Kosova Türkiye’dir»). Apriti cielo! Ma per quanto politicamente poco felice possa essere quell’affermazione non dobbiamo scordarci che Mehmet Akif Ersoy, il grande poeta kosovaro è l’autore del testo dell’İstiklal Marşı, è anche autore dell’inno nazionale turco. Nel discorso di Prizren – in cui non a caso non si è mai fatto accenno esplicito alla religione, ma a concetti più generali di cultura e civiltà – è evidente il passaggio dall’approccio pan-islamico usato da Erdoğan in Medio Oriente, ad una diversa retorica che potremmo definire “ottomanista”, volta quindi ad esaltare il ruolo storico e culturale della Turchia nell’Europa sud-orientale. Si tratta però di un approccio estremamente ingenuo, che non tiene conto dei significati ideologici e soprattutto simbolici che nei Balcani, e specialmente in Kosovo, vengono attribuiti alla dominazione ottomana. Se infatti l’Impero ottomano ha unito politicamente la penisola balcanica per cinque secoli, favorendo in modo oggettivo il reciproco scambio culturale e materiale, ha però profondamente diviso le genti dei Balcani da un punto di vista ideologico, proprio riguardo al significato da dare a questa esperienza storica. Per alcuni popoli l’eredità ottomana è vista come uno degli elementi fondanti della propria cultura, mentre per altri essa è altrettanto importante, ma con un ruolo opposto: rappresenta simbolicamente ciò rispetto a cui l’identità nazionale si forma per radicale opposizione.

    Ma il vero periodo buio per la nazione non fu nè quella medioevale nè quella ottomana ma quella a cavallo del millennio. Dopo l’atroce guerra balcanica che separò le diverse nazioni che componevano la Jugoslavia, ce ne fu un’altra a seguire che vide il governo serbo ad eliminare tutta la popolazione non serba dal Kosovo. Circa 850.000 albanesi kosovari furono costretti a fuggire. L’intervento NATO è storia nota, i bombardamenti all’uranio impoverito, le mine nei campi e le lotte fratricide ancora in corso. Nonostante dal 1999 con la forza si proclamò il Kosovo indipendente, il riconoscimento di molti organi istituzionali sovranazionali ad oggi la Repubblica Serba non riconosce la secessione.

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  5. Macedonia
    Il territorio dell'attuale Repubblica di Macedonia ha fatto parte, durante i secoli, di numerosi Stati e imperi antichi. La Peonia, l'antica Macedonia, l'Impero romano e l'Impero bizantino; nel VI-VII secolo d.C. arrivarono i primi Slavi e in seguito si formarono gli Stati medioevali di Bulgaria e di Serbia. Nel XV secolo la regione venne conquistata dall'Impero ottomano. In seguito alle due guerre balcaniche nel 1912 e nel 1913 e la dissoluzione dell'Impero ottomano, diventò parte della Serbia e fu riconosciuta come Јужна Србија (Južna Srbija, "Serbia meridionale"). Dopo la Prima guerra mondiale la Serbia si unì al neo-formato Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni. Nel 1929, il regno fu rinominato Jugoslavia e diviso in province chiamate "banovina". Il territorio della moderna Repubblica di Macedonia divenne la Provincia di Vardar (Vardarska Banovina).
    Fino qui tutto chiaro no? Ma non è finita, nel 1941, la Jugoslavia venne occupata dalle Potenze dell'Asse. La provincia Vardarska Banovina venne spartita tra la Bulgaria e l'Italia, che al momento occupava l'Albania. Il rigido governo che le forze occupanti stabilirono nella zona incoraggiò molti slavi macedoni ad appoggiare il movimento di resistenza di Josip Broz Tito (quello che divenne poi il presidente della Jugoslavia alla fine della guerra). Dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, la Repubblica Popolare di Macedonia in Jugoslavia diventò una delle sei repubbliche della Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia.

    Ma la cosa curiosa sono i nomi che questa terra martoriata ha preso, stessa terra, stesso popolo ma continua a cambiare nome:
    1963 da Repubblica Federale di Macedonia a Repubblica Socialista di Macedonia.
    1991 da Repubblica Socialista di Macedonia a Repubblica di Macedonia quando si separò pacificamente dalla Jugoslavia.

    Entrò in conflitto formale con la Grecia a proposito del nome ufficiale dello Stato dopo la sua dichiarazione d'indipendenza, e nel 2013 la disputa persisteva. Non ho altre informazioni

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  6. [3 Settimane e 2 giorni al D-DAY]
    Per chi mi conosce di persona sa quanto sono noioso e metodico sulle cose che faccio, per cui questo week end si è proceduto come "Standard practice": prenotazione del traghetto e del primo hotel. Abbiamo preso la SNAV con tratta Ancona - Spalato, due moto, una cabina quadrupla uso doppio per un totale di ben 278,00 €.

    L'ultima volta che ho fatto questa rotta era il 2010 con una Jadrolinija in una cabina da sogno, in un corridoio da sogno, in prua esterna e vicino ai cessi da incubo! Una notte infame fu, ma ci fu una cosa speciale. Un amico si è presentato sulla nave con la scanata farcita con peperone e uovo.

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